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L'editoriale n.128

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Le persone intelligenti parlano per esperienza. Quelle più intelligenti, per esperienza, non parlano.

Prove tecniche di un mondo che cambia. Perché il Coronavirus non è soltanto un'epidema. È realtà sospesa: è l'anticamera di un'esistenza diversa da quella che conoscevamo. Sono giorni in cui la storia corre veloce e lascia in eredità dei secoli a venire immagini potentissime: il Papa che celebra messa in una piazza San Pietro deserta, roba che Sorrentino scànsete, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, spettinato che in un fuori onda spiega al suo portavoce “neanch'io vado dal barbiere”, la Regina d'Inghilterra vestita di verde che fa il suo quarto discorso alla Nazione in 68 anni: e in un colpo solo Netflix va al tappeto per doppio ko tecnico con un bel “ciaone” a Black Mirror e a The Crown.

Nel nostro piccolo anche noi di PM siamo alle prese con queste prove tecniche di cambiamento: ed ecco il primo numero della nostra storia a uscire esclusivamente in edizione digitale. Sperando di poter tornare presto anche nella cara e vecchia veste analogica.


E mentre le curve dei numeri iniziano a indurre un pallido ottimismo, in questo momento la concentrazione e i propositi non possono che essere rivolti alla cosiddetta “fase 2”. Quella che, gradualmente, dovrebbe vedere un allentamento delle misure di contenimento. Quella più delicata, perché ci aspetta la sfida di una convivenza prudente e consapevole con il virus. Ma anche cruciale per il nostro futuro socio-economico. Anche se il tutto dovrà avvenire, almeno per qualche mese, in una forma nuova. Gireremo con le mascherine, forse faremo più tamponi e magari esami sierologici e saremo probabilmente tracciati da una app (su questo, per favore, cerchiamo di non fare troppe polemiche sulla privacy anche perché avvalersi del monitoraggio in questione sarà una scelta volontaria e non imposta e se vista fin di bene sarà l'affievolimento di un diritto non così diverso dall'attuale limitazione della nostra libertà). E presto, forse, riusciremo persino a tollerare l'idea che qualcuno vada a correre in solitudine senza additarlo come un nemico dell'umanità.

Il tutto con la consapevolezza, sempre che il virus non decida di sparire nel nulla come già accadde con la Sars, che sarà soltanto il vaccino a scrivere la parola fine a questa storia e farci tornare alla vita come la conoscevamo. Nel frattempo non possiamo abbassare la guardia. E dovremo prepararci ad altri sacrifici: magari ci vorranno regole per tutelare e “confinare” i più fragili e i più anziani (il solo pensiero è terribile), magari dovremo continuare a fare delle rinunce (è tristemente probabile). È una realtà che dobbiamo iniziare a guardare in faccia con crudo realismo. Ci aspetta un periodo in cui tutti i nostri parametri continueranno a essere messi in discussione. In cui la meravigliosa normalità a cui eravamo abituati resterà il più prezioso degli obiettivi.

In tutto ciò ci resta una piccola, grande, consolazione: tutto dipende da noi. Dal nostro senso civico e dai nostri comportamenti. Un amico, qualche giorno fa, mi ha detto “è una pandemia, non un incantesimo: non ne usciremo migliori, ne usciremo uguali”.
Sinceramente spero che si sbagli. Perché credo che questa storia ci cambierà per sempre.
E allora speriamo che ci cambi in meglio.

L'editoriale n.128
   
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Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.