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All’Umbria del vino manca una solida base bibliografica contemporanea In evidenza

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Scrivo questo pezzo dall’aeroporto di Catania dove tra circa un’ora mi imbarcherò per il comodissimo volo che mi riporterà a Perugia, a casa.
Sono stato 5 giorni sull’Etna con base a Milo, piccolo paese sul versante orientale del vulcano famoso per la qualità dei suoi vini, soprattutto bianchi. Se i rossi più celebrati vengono dal versante settentrionale è infatti qui e in particolare tra le contrade Caselle e Rinazzo che il carricante dà il meglio di sé. È qui che il più famoso vitigno bianco etneo trova una delle sue zone di elezione, da cui derivano vini di particolare finezza, spessore, longevità.

In questi giorni di degustazioni, visite, masterclass più di una volta mi sono trovato a consultare almeno tre fonti, tutte validissime. La mappa delle contrade di Xiaowen Huang, divulgatrice che ha trascorso settimane nel recuperare le mappe catastali di tutti i comuni all’interno della denominazione Etna per riuscire a definirne con maggior precisione possibile i confini. La mappa del locale consorzio di tutela, seppur valida per un primo approccio, risulta infatti meno precisa. Uno strumento fondamentale. I vini del vulcano, libro del famoso produttore ed enologo Salvo Foti che da anni, più di chiunque altro, si occupa di mettere su carta la sua pluridecennale esperienza sull’Etna. Un libro che ripercorre non solo la storia della viticoltura etnea ma anche le caratteristiche dei vari versanti, dei suoi comuni, delle sue tante contrade. Infine I nuovi vini dell’Etna, libro di recente pubblicazione di Benjamin North Spencer che ripercorre la grande crescita che ha vissuto questo specifico territorio negli ultimi trent’anni.

Al netto della grande attrattività che l’Etna e più in generale la Sicilia esercita nei confronti del pubblico internazionale questi sono strumenti essenziali per comprendere meglio un territorio, non solo per gli appassionati ma anche e soprattutto per gli operatori e per gli stessi produttori che quel territorio lo abitano. Un esempio molto specifico che però si potrebbe replicare per diverse altre denominazioni italiane, da nord a sud, che possono contare su una bibliografia più o meno ricca. In Umbria non c’è niente di tutto questo, e penso in particolare all’unica area che a livello produttivo e mediatico meriterebbe attenzioni di questo tipo, capaci di affrontare tante questioni aperte: Montefalco.

All’Umbria del vino manca una solida base bibliografica contemporanea
   
Pubblicato in Fast Good
Jacopo Cossater

Nato in Veneto, appena maggiorenne si trasferisce a Perugia per motivi di studio. È più o meno in quel periodo che si innamora del sangiovese, completa il percorso dell'Associazione Italiana Sommelier ed apre un blog, non necessariamente in quest'ordine. Dopo aver vissuto per troppo tempo a Milano e troppo poco a Stoccolma è tornato in Umbria, dove oggi lavora. Giornalista, collaboratore della guida "I Vini d'Italia" edita da l'Espresso, scrive anche su Enoiche illusioni e Intravino, due dei più popolari wine blog italiani.